ANTOLOGIA CRITICA


Ora dipinge, ed il colore non s’infosca mai, con il solo assillo di realizzare le proprie sensazioni confitte al centro del suo ardente cuore, esaminandole, a contatto con la natura, a filo di una lucidità o di un’estasi. Un istinto infallibile ha operato sulla sua tavolozza, fino al raggiungimento di un chiarismo euforico e personalissimo, immune da clorosi, anzi esaltato di luce, ed espresso con finezza di tocco, con limpidità d’acquerello, con sintesi da sinopia. Sorprende “le justesse de tonalitè” cara a un settore dell’“École de France”, fiorita nell’ambito della propria scala cromatica, promuove la fusione delle forme e testimonia i tentativi e le ricerche, talvolta sofferti e venati d’intuizione, attraverso i quali sta ritrovando le leggi dell’architettura pittorica, cercando di inalveare il suo entusiasmo, la sua passione, il nativo senso dell’equilibrio e della costruzione entro gli argini del raziocinio e della cultura. E fa legittimamente arguire come abbia operato tra due poli: attratto da un impressionismo, solo suola di sensazioni; avvinto da una severa disciplina euclidea avente per fine il concepimento di un vedutismo evocatore di atmosfera, dignitoso come un parto mentale.

Il modo di evocazione è così potente in Carmelo Consoli, che “che di essa [gli] si nutre il cuore”, perché le fuggitive immagini del ricordo trovano il supporto nella sensazione presente che dirige tutti i moti del suo spirito. Ha trovato il fantastico, non nelle elucubrazioni oniriche e surreali, non nelle morbose doglie di un certo espressionismo nordico, ma nella deviazione distensiva fra il reale e l’immaginazione; in quell’area fabulistica, verdi pascoli e mari d’erbe e fiorite gioie egli ritrova. Allentata la esistenzialistica tensione, egli sente solo un dovere verso il suo spirito, verso la sua coscienza d’artista: quello di andare alla ricerca del tempo perduto, visto che la vita nostra, così come si svolge in ansie mortali, in delusioni vaste e profonde, non è accettabile.

Bertrado Bigi – Roma, Giugno 1965

 

“…Carmelo Consoli adora il sole più dei pittori di macchia e di impressioni, più delle lucertole, più delle cicale. I suoi quadri, infatti, hanno sempre le vele spalancate e liete della luce. Una luce che diventa bagliore di mezzogiorno estivo e dilatazione di metallo rovente quando Consoli, premuto da improvvise istanze liriche, la spinge verso miti panici e mistiche trascendenze. Paesini lontani solennemente inquadrati tra prismatiche distanze, promotori aderbati, fioriture campestri, dalle pure innocenze di battesimo, presente e passato, realtà e sogno, sorriso ed accigliamenti, paci ed onde, favole e canto.

Ecco i motivi predominanti di questo autentico artista, motivi eterni che nessuna rivolta artistica potrà mai cancellare.”

Geppo Tedeschi – Roma, Febbraio 1966

 

Conobbi Carmelo Consoli lo scorso anno e vidi le sue opere alla recente “personale” che ha tenuto alla galleria del Comune di Roma, in Via Milano. Mi colpiscono fortemente i suoi colori e la forza espressiva dove è nitido il variare della pennellata e la sensibilità della pittura. Noto che le sue case, i suoi paesaggi – solo questi soggetti delle tele – non sono prospettive vuote o costruzioni puramente murali. Tra blocco e blocco si aprono strade lunghe che si inerpicano o discendono, sempre s’inoltrano nello sfondo: è ricerca d’effetto, è espressione del figurativo, o è invece una spontanea, interiore aspirazione dell’artista di penetrare all’interno delle cose, di crearsi la strada per cogliere la miseria, la ricchezza, ma sempre l’aria di famiglia che si sprigiona dalle casupole, dai palazzi, dai turriti castelli che fanno ala e sfondo?

Mi pongo il problema interiore di Carmelo Consoli, alla ricerca di quel fatto individuale che dà così originale impronta alle sue impostazioni pittoriche.

Libertà ed affetto: ecco il significato delle strade lunghe, delle porte e degli archi che si aprono e rompono la monotonia delle facciate. È la ricerca degli affetti, della comprensione, dell’amicizia che è entro i borghi, entro le case, di stanza in stanza, da finestra a finestra.

Si notano i colori densi non soffocati, la forza della struttura, la stilistica della costruzione, il sentimento espresso dalla pennellata, ora grassa ora fina, il colore ora variegato o levigato con la spatola. L’ocre, il bleu, il verde, tinte chiare e scure si alternano e si sostituiscono nel perfezionarsi della tecnica e dell’espressione pittorica. Un’antologia, vedo, della sua attività di pittore, dal 1958 ad oggi. Figurativo romantico dapprima, più concreto e meno dettagliato fino allo scorso anno, ormai avviato alla sintesi ed al raccoglimento più puro del colore e della struttura.

Un pittore di soli 25 anni, ma di così grande maturità, per una tale età, che lo pone più che tra le speranze, tra le certezze della pittura italiana degli anni settanta.

Manilo Tamburello, Roma – Febbraio 1966

 

…È fuori di ogni dubbio che l’ispirazione di Carmelo Consoli è sempre felice, fresca, emotiva, tanto che alcuni quadri mi sono sembrati – per essere evocatori di particolari stati d’animo – degni della migliore tradizione neoclassica contemporanea per le risoluzioni ardite, eclettiche e generosamente proposte. La ricerca del “Bello ideale” conduce l’artista a questi impulsi cromatici, ma, a ben riflettere, non v’è che da lodare questa sua qualità rivelatrice del suo temperamento volitivo, tenace e consapevole. L’avere assorbito la suggestione delle migliori esperienze pittoriche d’avanguardia neoclassiche ha portato l’Artista a questa sua pittura essenziale, stringata e luminosa ma sincera e, in un certo senso, anche piena di romanticismo per l’impegno poetico – anche se gagliardo – in essa profuso.

Renato Marmiroli – Roma, Marzo 1966

 

Consoli preferisce cercare i propri motivi nella città, nelle sue vie e viuzze, negli edifici e nel verde che li circonda. Nei suoi quadri si rivela schietta ed efficace l’espressione, fresco il colore, piacevole l’armonia, profondo il sentimento, fervida l’immaginazione. Dovunque palpita e riflette tutta l’anima dell’Artista.

Giorgio Nurigiani – Roma, 1967

 

Consoli, attraverso un’osservazione costante dell’ambiente che lo circonda, sospinto da una urgenza di superamento delle forme già raggiunte; per le commozioni spontanee e forse dilaganti che a tratti lo stringono o lo galvanizzano; o ancora per una panoramica visione artistica che egli possiede, riesce perfettamente a sapere esprimere tale sua completezza. Pastosa e pur vibrante la materia coloristica che egli sa plasmare, dominandone con forza le eversioni; duttile e pur costante il movimento di cui egli dota le masse volumetriche; ferma serenità degli aspetti e dei risultati che egli coglie in questi attimi di felice e rapida creazione.

Orio Ribelli – Roma, 1968

 

Il Consoli è ina specie di “fauve” (e persino chiarista), innamorato della luce, la quale, nel contesto della sua opera si confonde con la materia della tessera cromatica. La luce e il colore centralizzano ogni regione del dipinto; e sono, queste zone, terre dissepolte, bruciate, venate e fettate, come a voler mostrare ogni mistero di sé. La natura quasi fuoriesce, con la forza dei colori, della tela, si mostra nella sua pienezza, diventa così un emblema, una forza primigenia, multiforme e pur singola anaforica e pur unitaria. Consoli si avvicina all’astratto.

Vinicio Saviantoni – Roma, 1973

 

La sua pittura è distesa, aperta, un canto alla natura espresso con un colore suggestivo: domina il tema della luce, un tema verso il quale Consoli rivela una spiccata sensibilità. La luce-colore avvolge i paesaggi sognati e trasfigura le tele. Nessun intellettualismo disturba questa vocazione al canto sereno e non si notano dissonanze o espressioni scontate. Si sottolineano le doti di personalità del pittore romano.

Mario Ghilardi – Roma, Maggio 1975

 

L’accento limpido ed esclusivo verso un’autonomia dei valori della pittura, che coincide sia con la soggettività più segreta dell’aspirazione, sia con quei contenuti di vita reale e di natura immediata senza remori intellettuali od artefici di cultura, è alla base dell’esplorazione di Carmelo Consoli: un linguaggio, il suo, sbocciato quale ideale spontaneo, fioritura assidua e veloce dell’immaginazione, assorto e disponibile bisogno di intessere colloqui ripetuti, di interpretare nozioni preesistenti, di riuscire a dar la scalata ad una visione di inalterata tensione ed equilibrato nitore.

Carmelo Consoli, dunque, intento da anni ad un’opera sagace di scelta, di esame minuzioso, di pesatura centellinata: staccata l’attualità da qualsiasi volontà descrittiva – si mera e semplice consultazione aprioristica, quasi libro da sfogliare e ripetere a memoria, brano collaudato e presunto cavallo di battaglia, si addentra piuttosto nella vita tesa e sofferta della simbologia lirica, della assunzione di temi, inviti e canovacci divenuti sigillo di un agire personalissimo per cadenze e “stile”.

Staccando gli oggetti dalla momentaneità impressionistica, Consoli li spinge e li isola dentro uno spazio percorso dalla fantasia e dal sogno, dove si arricchiscono perciò di traslati e significati diversi e rivelano nel silenzio cristallino del composto prospettive non solo fisiche. Perdono insomma la pesantezza di cose per trasformarsi in emblemi chiamati dal lampo della memoria ed attivi in conseguenza della loro capacità di stimolare echi sotterranei, di ristabilire una verità poetica perduta nella logica quotidiana.

Non esiste, a ben vedere, limitazione naturalistica: lo sguardo fermo dell’artista, proteso nello scandagliare i dati offertigli, si libera in contemplative astrazioni d concetti, mentre la forma resta ancorata ad un recupero di solidità, talora di svolazzante euforia cromatica che dettano istantaneamente gli impulsi più reconditi dell’animo. Ne scaturisce, allora, un discorrere piano e chiaro, una visibilità aperta, una lettura agevole e conseguente ma non fino al punto di precludere la intrusione, gradita, delle vibrazioni intime, dell’ottica particolare, del respiro soggettivo.

Carmelo Consoli molto ha viaggiato, la sua esistenza s’è finora corredata di tappe molteplici, s’è alimentata del contatto con luoghi e situazioni calamitanti che l’hanno logicamente condizionata, scandita, determinata con il loro sovrapporsi. E la pittura, per un processo irreversibile di sintesi, costituisce come una sorta di affascinante diario di queste errabonde stazioni dello spirito, della mente prim’ancora che dell’individuo materiale.

I quadri diventano, appunto, altrettante fermate, soste contemplative, isola di protezione spontanea e fertile: possono essere le spiagge del Sud, le marine colme di ondulazioni luministiche, gli azzurri prepotenti dei cieli, il rigoglio di una vegetazione esuberante ed intatta e possono ugualmente diventare mezzo di esame le distese ampie dell’Umbria, il paesaggio che sa di misure non adulterate, i suggerimenti delle case ammassate, sorrette l’una all’altra dalla vecchiaia dei secoli, riscattate dalla povertà esteriore da una tranquilla dignità, da un pudore e da un isolamento trasferito in presa diretta dal carattere stesso degli abitanti.

Ecco: il vocabolario di Carmelo Consoli s’è accresciuto man mano, cammin facendo, s’è infittito di spunti, di indagini acute e non superficiali, del medesimo sapore delle culture “attraversate”: dipinge, l’autore, di getto, con musicalità innata verso l’elemento cromatico, sostegno insostituibile e non mediato, con intuito sempre fervido nel cogliere istanti ed evocazioni mormoranti. Il fremito del ricordo si agita in lui quale scintilla di provocare esaltazione pittorica: un istante appena – parrebbe di poter rimarcare – per coagulare l’idea, per fermare il tempo, per far rivivere il passato pur vicino.

E l’opera nasce veloce, compaiono i rettangoli modulati delle case, i chiarori improvvisi, il tessuto lussureggiante della creazione, il cuore coloristico, l’immobilità e la quiete del contingente e cono sicuro, fermo possesso e acquisizione per il futuro.

Non esiste la presenza umana nella pittura di Consoli: una nota non casuale, anzi – si pensa – voluta con indiscutibile coerenza. Così come non esistono le passioni, i rancori, il carico lungo delle disillusioni, gli inganni: rimane, invece, il mondo intravisto con la lente della stabilità, del simmetrico, euritmico proporsi, a cantare una favola, ad impostare un racconto pieno di melanconico abbandono.

Mimmo Coletti – Perugia, Marzo 1977

 

Questo modo di partecipare alla vita del creato consente al pittore di non perdersi nella descrizione di particolari inutili ma anzi di intuire e restituire in forma di sintesi l’essenza del contenuto, riassumendo nel contrasto dei colori, nei colpi improvvisi di luce e nella forza delle ombre lo spirito della percezione spontanea e della gioiosa volontà di dare con la sua opera la reale partecipazione all’attimo dell’estasi creativa. Il suo amore per l’arte diviene così amore per il prossimo al quale vuole donare il momento vissuto, la gioia provata, la partecipazione della parte al tutto, l’inserimento dell’essere nel vortice del moto universale.

Cesare Pezzali – Roma, Aprile 1983

 

Nell’opera di Consoli si trova una purezza naturale fatta di spazi, di profumi, di meditazioni, di nostalgie, di voci impalpabili, e di fruizioni estetiche. La sua arte “en plein air”, diventa quasi un diario costruito sul colore e sulla libertà dove il luogo, il piccolo borgo, i declivi collinari, le struggenti solitudini del Trasimeno, i silenzi straordinari, il verde dei prati, l’abbandono di qualche vecchio casolare ritmano una gioia che si spande come un pulviscolo di fiore nella solennità espressiva del racconto. In fondo quadri più sentiti che vissuti, sensazioni calde offerte con l’intensità di chi prova le consolazioni della natura, come un calarsi tra le luci di una primavera mai spenta di chi ascolta echi e risonanze, turgori e sussulti, dolcezze e sogni.

Duccio Travaglia – Perugia, Gennaio 1985

 

Una mostra di Carmelo Consoli è come un libro aperto: nel senso che vi si può leggere con immediatezza tutto il trasporto e la contabilità nei confronti della realtà umbra, del paesaggio e dei paesi arroccati, di una dimensione dell’esistere che diviene un fato personale ed interpretato interiormente. Carmelo Consoli trasferisce sulla tela il suo sentire con un atto di fede: nelle capacità espressive del colore, nella densità del composto, nell’equilibrio dispersi di elementi razionali e fantastici. Dall’insieme nasce una sorta di rilettura appassionata del paesaggio e della natura, il silenzio e l’abbandono, l’incanto e le memorie con un volo mnemonico pieno di ritegno e di sobrietà. Così la pagina pittorica fiorisce e racconta una trama sempre diversa ed intrisa di segreti palpiti: quelli che l’autore prova quotidianamente attraverso il contatto visivo con luoghi e situazioni di vivace intensità fonetica. Ed in Consoli è evidente la trasformazione poetica degli assunti, la sintesi formale, la possibilità di stabilire un rapporto intellettivo tra coscienza e dato esterno. I risultati da tempo attestano la felicità delle scelte: è un figurativismo che salta a piè pari l’insidia del luogo comune e reclama con calore l’individualità degli esiti toccati.

Da allora i passi compiuti si riflettono con sicurezza nelle superfici dipinte, si è irrobustita l’architettura complessiva, s’è fatto più vigile e maturo l’eloquio. Consoli con questo intervento dimostra la plausibilità del proprio impegno, la forza e gli impeti dell’ispirazione.

Mimmo Coletti – Perugia, Gennaio 1982

 

Nel 1868, mentre sulle rive del Senna dipingeva “La Grenouillère” , uno dei suoi capolavori, Claude Monet disse ad Eugène Boudin, che era stato il suo primo maestro negli anni della giovinezza trascorsi a Le Havre: “Trovo più vita umana e spirituale in un paesaggio, in una contrada, in una vecchia casa cadente che non nella maggioranza dei nostri simili”.

Dipingere all’aperto “en plein air”, era per Monet una condizione essenziale e irrinunciabile del suo temperamento artistico. Non una scelta, ma un’esigenza. Così è per Carmelo Consoli, pittore di “esterni” in ogni circostanza ed età del suo intenso e fecondo itinerario creativo, ricco di affermazioni invidiabili.

Romano di nascita, Consoli cominciò giovanissimo a ritrarre scorci di paesaggi agresti, e inoltre borgate, casolari, piazze, chiese, ponti e barche. Nel 1958 le sue prime apparizioni in pubblico.

Intanto il suo nome di afferma. Scrivono di lui giornali autorevoli come “Il Messaggero” e “Il Tempo”, vince premi significativi in consorzi nazionali e internazionali, come il “Kay Biscayne” di Miami, negli Stati Uniti; riscuote successi di pubblico e di critica, con mostre personali, da Agrigento a Torino, da Bari a Firenze, da Roma a Siena. Riviste e quotidiani riproducono, nelle pagine dedicate all’arte, suoi dipinti: “Ariccia”, “Palestrina”, “Manziana”, “Scilla”, “Castello Odescalchi”, “Impressioni di Tuscania”. Nomade della pittura, sempre alla ricerca di nuovi spunti, di nuovi motivi per il suo linguaggio espressivo, Consoli si sposta continuamente da una regione all’altra per cogliere di ogni lembo geografico e sociale l’anima genuina, per esplorarne il cuore e interpretarne lo spirito. Oltre che dipingere perfeziona i suoi studi umanistici e di storia dell’arte, tiene conferenze, partecipa ad attività culturali. Ritornato a Roma ha la soddisfazione di vedere le sue tele esposte in gallerie rinomate assieme ad altre di Sironi, Monachesi, Tamburi, Corpora, Attardi, Purificato, Turcato, Vangelli e altri maestri della pittura contemporanea. Quasi quarant’anni di severa e colta attività artistica; un centinaio di mostre personali e altrettante partecipazioni a collettive e a concorsi; innumerevoli premi e riconoscimenti critici. Questo lo “stato di servizio” di Carmelo Consoli, un pittore che costituisce un esempio di fedeltà al magistero dell’arte figurativa “classica”, però non accademica, non tradizionale e quindi “vecchia”. Il suo dipingere è infatti moderno, nuovo, originale. Guardiamoli attentamente i suoi quadri: sono inconfondibili, e suscitano subito emozione, partecipazione, adesione. Perché sono “veri”, scevri di espedienti speculativi, di frusti e vani preziosismi. Il segno è personalissimo, spontaneo e aereo ma penetrante come il verso del poeta, e la “scena” cromatica sorprendentemente viva, palpitante, soffusa di lirismo. Nulla è fuori posto, o sottovalutato o sublimato oltre misura. Non c’è azzardo nella pittura di Consoli, e neppure, mai, provvisorietà. Il pregio formale rispecchia il significato contenutistico del soggetto, in una equilibrata e armoniosa fusione dei diversi requisiti. Una pittura, infine, squisitamente “letteraria”, che si “legge” come un racconto.

J. Pierre Jouvet – Verona, Aprile 1986

 

Carmelo Consoli, nato a Roma, dopo aver a lungo sostato in varie regioni dell’Italia meridionale, ha eletto la sua dimora fissa, una particolare casa fatta di muri bianchi e tondi, che guarda un’ampia verde vallata, frangiata di alberi, ad un susseguirsi di profili azzurri, evanescenti, in fuga verso il Lago Trasimeno. È quindi a Pila, una frazione della splendida, pietrosa, austera Perugia, che Consoli ha fermato il suo forzato girovagare, e lì ha affondato le radici, nell’humus genuino della terra, e attonito, guarda il meraviglioso svolgersi delle stagioni. Con l’animo puro dei semplici, con profonda commozione, si è dedicato completamente alla pittura e vivendo a contatto diretto con la natura ha trovato la sua dimensione, la chiave del suo esistere. Non si può parlare dell’opera di un artista senza conoscerne, almeno in parte, le motivazioni, le esperienze di vita, il suo stesso divenire. Lotte, travagli, dubbi, privazioni sono stati il prezzo che Consoli ha pagato per questa sua scelta coerente e decisa, ineluttabile. Un modo di essere, un atto di fede sostenuto da una passione forte, profonda e spontanea.

Ora dipinge ed il sorriso sfiora sempre il suo volto. Se ne va per questi piccoli paesi e contrade umbre, come già aveva fatto a Roma e nel Lazio, in Calabria, in Sicilia, in Toscana e nelle Puglie ed in Sardegna, con il cavalletto e tutte le altre carabattole, a fermare sulla tela le proprie sensazioni, confitte al centro del suo ardente cuore (cfr. B. Bigi, 1965).

Riscopre il gusto per le piccole semplici cose di tutti i giorni e di sempre, per i resti fatiscenti di un’umanità che pazzamente si autodistrugge.

È un vecchio intonaco che sa di storia, di vita, di morte, il periclitante tetto spiovente di una casa abbandonata, il doloroso occhio vuoto di una finestra che colpiscono la sua sensibilità, che muovono in lui urgenze e tensioni espressive vibranti, e gioia e dolore ed esplosioni cromatiche ed anche, a volte, pace, tanta da potersi permettere di dipingere impalpabili cieli violetti. In questa osmosi continua con il paesaggio, con l’ambiente e la cultura locale, con gli scorci che Consoli scopre, a volte casualmente, l’artista viandante registra varie sollecitazioni, percepisce l’intima natura, le più segrete vibrazioni del luogo in cui sta vivendo, se ne sente parte lui stesso ed allora, nascono opere incisive, efficaci, violente che trasmettono le emozioni provate e parlano direttamente al cuore. Mi riferisco agli aspri paesaggi calabri e lucani in cui oltre ai bruciati colori della selvaggia terra sembra udirsi l’urlo del vento, ai gialli rossastri delle cave a S. Antioco in Sardegna, all’azzurro profondo mare della Casta Viola, alle rupi di Bagnara Calabra, alle esplosioni di efflorescenze color camino tra le brecce delle nere pietre laviche di Sicilia, alle calcinate bianche case di Peschici, di Ostuni o di Sperlonga, ai trulli della Valle d’Itria verso Locorotondo. Un istinto infallibile ha operato sulla tavolozza ed il colore canta, esaltato da un segno incisivo, forte, a volte prorompente che pur vibrando costituisce la struttura del contesto pittorico e ne esalta la felice impostazione cromatica e compositiva. Pastosi e carichi i colori che egli adopera e che di preferenza sfumano nei toni dell’arancio, del grigio, del viola, per sperdersi nei rosati, o stemperarsi nelle striature di bianco oppure nelle macchie di teneri gialli. La materia pittorica è trattata con maestria, strati di colore sgranati gli uni sugli altri, l’impasto corposo arricchito da polveri inerti, realizzano sulla tela l’effetto tattile delle rocce e degli intonaci devastati ed incisi dal tempo che mette a nudo precedenti coloriture. È questa ricerca materica che unitamente all’inquadratura ed all’esaltazione del binomio luce-colore, costituiscono le caratteristiche fondamentali della sua pittura.

Consoli non vuole, tuttavia, isolarsi, fuggire da una realtà in cui contano soltanto i valori aridi e gretti dell’arrivismo, dell’egoismo e del guadagno, vede giorno per giorno scadere la qualità della vita, sente profondamente il dramma di un esistere senza certezze, sommersi sempre più dalle stesse nostre scorie, distruggere inesorabilmente le cose più belle e pure che ci circondano e si aggrappa a quel poco che è rimasto. La sua pittura è un “memento” contro lo scempio che l’uomo fa di se stesso e del suo ambiente, ogni quadro di Consoli rappresenta qualcosa che sta per essere spazzato via. Siamo pazzi e ciechi, viviamo in scatole di cemento, la nostra vita è una routine alienante, non udiamo che frastornati rumori, non comunichiamo più con gli altri e ci chiudiamo, appena possibile, gelosi, fra quattro mura, davanti alla scatola magica. Consoli ha rifiutato tutto questo, ha rinunciato a molto per poter essere se stesso, per poter correre tra i prati, per tuffarsi nell’azzurro, per volare e cantare.

Giorgio Ceregatti – Verona, Aprile 1986

 

Ho il piacere e la gioia di avere le pareti della mia casa adorne di stupendi quadri di Carmelo. Un dolce paesaggio della campagna romana, un vecchio famoso ponte, uno scorcio di Manziana tante volte pubblicato, vecchi borghi e intonaci consunti; qualche marina del sud e, far gli ultimi, possenti monti e rocce dolomitiche. Questi e altri temi ancora (le stupende drammatiche “cave” dove la terra viene ferita e violentata) sono nella pittura di Consoli, visioni poetiche e, a volte, drammatiche della natura, realizzate con maestria. Il colore variegato, a volte forte, incisivo o delicato, la materia pittorica e la pennellata quasi scolpiscono, con la loro forte decisa sicurezza, gli elementi fondamentali del contesto pittorico e si percepisce e si assorbe la vibrante carica emozionale che ne emana.

Ammirare un quadro di Carmelo è sinonimo di rimanere in estasi, incantati alla ricerca dei motivi che hanno ispirato il sogno, divenuto realtà pittorica. La forza derivante dall’esperienza di vita unita alle sue naturali qualità, alla sua grande umanità ed all’amore per la natura, per le cose semplici, sincere e vere fanno di Consoli un grande artista.

Fiorenzo Nappo – Viterbo, Marzo 1992

 

La pittura di Consoli si segnala subito per una sorta di canto dell’anima, sussurrato, per un lirismo intimo e struggente. I luoghi sono pervasi da una solarità che può apparire inusitata rispetto alla terra ed ai luoghi dell’Umbria, ma che in realtà trova conforto nella circostanza artistica tutta intrisa di trasposizione metaforica della realtà e della interiorità spirituale al cospetto delle apparizioni della natura. Consoli ha il pregio di filtrare sulla tela il vissuto e il rivissuto, la sua natura meridionale e l’amore sincero per l’Umbria in reciproca sintonia per poi raggiungere una armonia dove cuore e paesaggio non si possono distruggere da una corretta comprensione del dettato artistico e la poetica è una sol cosa con la tessitura dell’opera. In tale contesto l’Umbria con i suoi paesi, i suoi luoghi più significanti, il rigoglio delle campagne, hanno il valore di cantica all’interno del canto generale che accomuna cose e sentimenti, valori e moti dell’animo.

Giuseppe Maradei – Perugia, Gennaio 1995

 

Se la pittura di Consoli può dare una sensazione di facile comprensione e lettura, andando a scavare scopriamo che dietro questa, apparente, semplicità e facilità, c’è una grande padronanza della tecnica pittorica, c’è un innato gusto per il colore e la composizione, c’è tanto studio, ricerca, lavoro, tanto, ansioso e sofferto, anelito creativo.

Le immagini di Consoli colpiscono immediatamente per la loro estrema bellezza, carica di tensioni sotterranee prossime alla sublimazione dell’immagine. Stupendi gli ultimi lavori dedicati alle “cave”. Qui è come se la mano del pittore fosse spinta da una forza lacerante che, unita ad una grande energia intellettuale, va a scoprire forme nascoste nella natura e nella stessa materia pittorica, forme che a volte appaiono, esaltate da lampi luminosi e altre riassorbite dal colore, sprofondare fra le cavità magmatiche della terra.

Sfogliare il libro dell’arte di Carmelo Consoli è, in definitiva, scoprire una vita interiore che si nutre di lucide visioni, pregnanti sensazioni, segreti respiri, pulsanti emozioni. Consoli è, l’interprete genuino e sincero, l’artista privo di complessi estetici e falsi cerebralismi, che ha scoperto la gioia di un paese arroccato, le casa stinte dal sole, il mutare delle stagioni, l’esplosione della luce solare. Il sole, quel sole che vuole sentirsi scottare addosso, quando dipinge, immerso e perduto nella struggente bellezza della natura.

Luciano Lepri – Perugia, Febbraio 1995

 

“Pittore di esterni” come lo definì J. Pierre Jouvet – pittore di visioni agresti, di cieli, acque, borgate, vegetazioni e quant’altro si può aggiungere nell’inquadrare le scelte di Carmelo Consoli far gli spazi dell’arte contemporanea, non ne limita gli intimi valori, le raggiunte qualità espressive. Per Consoli, come per gli impressionisti del Bois de Boulogne, è l’innata spinta verso la natura a rendere necessari, fin dai primi contatti con colori e tele, il dialogo “en plein air”, il diretto rapporto con luci ed atmosfere. L’immediato appartarsi ed il possesso lento di un proscenio suggerito dai luoghi, dalle ore, dal variato fluire di mesi e di stagioni. Per i limpidi paesaggi, per le vedute urbane, per le ravvicinate pareti o le solari trasparenze che, Carmelo Consoli, può offrirci, lunga e tenace la conquista dei mezzi tecnici necessari, portata avanti con umiltà, senza interrompere in alcun modo il fervore d’immagini, la sincerità emotiva.

Nessun distacco da ciò che erano stati, per Carmelo Consoli, i naturali, appassionanti incontri con comunicativi orizzonti, con immagini cercate e umanamente vissute. Immagini di un diario quotidiano da trattenere attraverso lo scorrere dei segni e la magia dei colori, immagini di una realtà filtrata dal cuore e dalla mente, trasferita in un sempre più scuro linguaggio comunicativo. Ed è nel seguire il coerente percorso dell’Artista, dall’iniziale periodo romano, - Carmelo Consoli, nato a Roma nel 1940, riprese gli studi artistici nella capitale, frequentando i corsi dell’Accademia di Spagna – al definitivo trasferimento in Umbria, che si può avere l’esauriente conferma del suo proprio, vitale procedere, nell’indagine pronta che ne accompagna itinerari e pause, febbrili scoperte e riflessive attese.

Le cave surriscaldate, scoscese di Sant’Antioco in Sardegna, le contrastate rocce, i drammatici viola dell’Aspromonte, le sommesse vegetazioni che ricordano i trulli pugliesi, il bianco degli intonaci della magica Sperlonga, le tante esaltanti proposte intessute di ravvicinati aspetti d’ambiente, di contrasti tonali, di luminosi riflessi, di acquetano nelle calde, dorate geologie, nei verdi silenti, negli azzurri riposanti di un’Umbria fedelmente percorsa ed, insieme, interpretata con dedizione attenta, affettuosa. All’insaziabile, puntuale ricerca di antichi insediamenti, campi, macchie boscose, degradanti cascate di case come di lontane, armoniose colline, distese di placide acque, anfratti, rientranze lacustri, Carmelo Consoli, innesta il trascinante richiamo di un incontaminato, immediato processo di castigata sincerità.

Lontano, come ai suoi inizi, dai riferimenti della nostra esasperata modernità, approfondisce le immagini di un contemplativo “quotidiano” impostato su limpide forme, sul fascino di sapienti, modulati impasti di materia cromatica.

Le ultime “campagne umbre” di Carmelo Consoli, avide di spazialità, di luci solari, le sue sognanti architetture di assisi ritmate fra ocre terrose, solchi brunati e l’azzurro terso del cielo, le dolci, velate stesure del Trasimeno raccolte fra ricami festosi di alberi in fiore e soffuse colline, appartengono, nei loro tramandi essenziali, al mondo dove viviamo e, nonostante tutto, al mondo dove desideriamo continuare a vivere.

Luciano Bertacchini – Bologna, Marzo 1995

 

Le architetture povere dei nostri borghi dalle facciate degradate e dai tetti malfermi, accarezzate da una luce intensa, apparentemente disabitate, segni di una storia semplice che si sedimenta su se stessa, sono sempre stati i soggetti dominanti della pittura di Carmelo Consoli. Di origini siciliane ma formatosi nell’ambiente romano, dopo molto girovagare per saziarsi delle meraviglie dei luoghi del nostro meridione, all’inizio degli anni Settanta rientrò a Roma dove svolse un’intensa attività espositiva. Da oltre vent’anni ha però scelto anche lui le colline umbre, non lontano da Perugia, per sviluppare il suo lavoro pittorico a contatto con la natura.

Da allora ha diversificato più marcatamente i soggetti delle sue narrazioni. Il paesaggio, che inizialmente era complementare alle architetture, è diventato progressivamente non solo oggetto di attenzione, ma elemento fondamentale di un nuovo linguaggio. Dalla pura figurazione è passato allora a una lettura materica e cromaticamente reinterpretata, tendente all’astrazione, del nostro paesaggio gibboso.

Si può dunque leggere l’evoluzione del suo narrare pittorico, dai primi paesaggi di case del sud alle campiture piene e dalle linee essenziali, al sostanziale verismo delle architetture povere, al paesaggio, anch’esso dapprima verosimile, e poi filtrato nella matericità e nella strutturazione esasperata.

Un linguaggio autonomo, giocato sulla reiterazione dei piani, appunto, sull’intervento della luce e sull’uso di una tavolozza variegata, ma volutamente lontana dal reale. Un discorso quest’ultimo che sembra portare l’artista verso ulteriori sviluppi in direzioni decisamente alternative alla figurazione.

Compaiono infatti opere recentissime in cui il paesaggio si rivela un pretesto per esprimere sensazioni forti, più che stati d’animo che, pur originando tradizionalmente dalla natura, trovano nella tempestosità cromatica, dominata dal rosso, dai forti contrasti e dalle fumosità tondeggianti, la sintesi dell’elemento materiale di riferimento e della suggestione.

Massimo Duranti – Perugia, Dicembre 2000

 

Medita e i tuoi pensieri affidali al vento, all’acqua che scorre rapida, al verde della natura, a un silenzio rigato da palpiti e trasalimenti che sono poi quelli della vita. Così inizia e prosegue il viaggio di Carmelo Consoli lungo la strada della pittura: ha iniziato presto per quella che un tempo si chiamava “vocazione” (termine decaduto in disuso, tanto da esser guardato con sospetto), ha proseguito con esiti sempre più convinti fino ad assumere un posto tutto proprio, un piedistallo costruito con la sensibilità, il vibrare dei colori, la lezione sempre nuova del paesaggio, l’aria aperta che scuote e sussulta, gli spazi in cui l’occhio annega.

Una gioia ritrovata della visione, una felicità cantabile, una poesia delle cose verso le cose destinata a non appannarsi mai.

Agevole risulta andare a braccetto col pittore, inerpicarsi per i sentieri già battuti, conoscere in maniera solare le pietre miliari che scandiscono le sue orme. Paesaggista raro, perché capace di immedesimarsi a tal punto con la realtà che ogni quadro diventa un capitolo, ma anche interprete orgoglioso per una sua pulsante autonomia estetica. Il che sottolinea come il linguaggio di Consoli, nella logica evoluzione, abbia sempre risposto a canoni suoi e mai di altri. Significativo è notare il processo di scarnificazione dell’immagine: il paese, il lago, l’albero, l’angolo abbandonato si trasformano in segni, magari suggeriti da calanchi, in espressioni di puro cromatismo, in un tessuto materico sempre più presente. Fino a ottenere, in opere recentissime, un risultato di pura architettura compositiva. È sempre un cantore lirico ma le emozioni immediate sono divenute pensiero.

Mimmo Coletti – Perugia, Dicembre 2000